La fatica muscolare

La fatica muscolare è la conseguenza di fenomeni che avvengono a livello del sistema nervoso centrale, periferico e muscolare. I fattori di affaticamento che originano a livello del SNC generano la fatica centrale. La fatica che origina a livello della giunzione neuromuscolare e nei muscoli è chiamata fatica periferica.

L’affaticamento centrale include la sensazione di stanchezza e il desiderio di terminare l’esercizio. È stato dimostrato che la fatica psicologica precede quella fisiologica nel muscolo. Questo meccanismo è stato interpretato come meccanismo di protezione.

Storicamente la fatica muscolare fu definita come l’incapacità di mantenere un certo livello di forza nel tempo. Successivamente la definizione è stata modificata definendo la fatica muscolare come l’incapacità di mantenere un dato livello di potenza nel tempo.

Con questa definizione si vuole mettere l’accento sul fatto che la fatica non modifica solo la forza massima contrattile, ma anche la velocità di contrazione.

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Cause della fatica

Le cause della fatica muscolare non sono ancora del tutto chiarite. Si potrebbe pensare che la fatica insorga con l’esaurimento dell’ATP. Non è così. Molti studi hanno confermato che durante un esercizio intenso la fibra muscolare utilizza soltanto il 30% dell’ATP. Le cause vanno quindi ricercate altrove.

Una delle cause sembra essere la diminuzione del pH dovuta alla produzione di acidi durante l’idrolisi dell’ATP. Sembra che l’acidosi moduli la sensazione di fatica a livello cerebrale.

Una causa di origine nervosa è la velocità con cui viene sintetizzata l’ACh nel terminale assonico. Se la velocità di risintesi è minore rispetto alla velocità di scarica dei potenziali d’azione, il rilascio del neurotrasmettitore nel vallo sinaptico diminuisce. Questo porta al non raggiungimento del valore soglia per innescare un potenziale d’azione (Potenziali elettrici nei neuroni) nella fibra muscolare che quindi non si contrae.

Durante un esercizio submassimale la fatica è associata all’esaurimento del glicogeno muscolare. L’esaurimento del glicogeno influenza il rilascio del calcio dal reticolo sarcoplasmatico.

Nell’esercizio massimale di breve durata la fatica è data dall’aumento della concentrazione del fosfato inorganico derivato dalla scissione dell’ATP e della fosfocreatina. L’aumento del Pi citoplasmatico rallenta il rilascio di Pi dalla miosina alterando il colpo di forza (La contrazione muscolare).

Lo sbilanciamento ionico è un altro fattore della fatica. Durante l’esercizio gli ioni potassio escono dalla fibra muscolare ad ogni potenziale d’azione. La concentrazione extracellulare di K+ modifica il potenziale di membrana a riposo. Sembra che anche alterazioni della pompa sodio-potassio abbiano un ruolo, in quanto causano una riduzione della velocità di ripolarizzazione.

Aspetti fisiologici

Lo studio della fatica ricopre un ruolo molto importante non solo in ambito sportivo, ma soprattutto in ambito medico e riabilitativo. Ciò è dovuto al fatto che questo sintomo lo troviamo in molte patologie (malattie metaboliche, infettive, neoplastiche). Lo studio della fatica si avvale di esami da laboratorio ed utilizza tecniche e strumenti particolari come la stimolazione magnetica cerebrale, meccanomiogramma (MMG) e elettromiografia (EMG).

Grazie a queste tecniche e all’analisi dei tracciati elettromiografici è possibile valutare come variano la conduzione, la frequenza di scarica ed il reclutamento delle fibre. In questo modo si è potuto studiare il comportamento delle fibre a diverse modalità di lavoro.

Durante contrazioni sostenute il modello di attivazione delle unità motorie differisce a seconda dell’intensità di contrazione. Per compensare la riduzione dell’efficacia contrattile delle fibre attive sin dall’inizio, vengono reclutate nuove unità motorie e aumenta la frequenza di scarica di quelle reclutate precedentemente. Questo succede con sforzi sottomassimali.

Nelle contrazioni ad elevata intensità la frequenza di scarica diminuisce. Questo fenomeno serve per proporzionare la frequenza di scarica al tempo di rilasciamento delle fibre che aumenta con la fatica.

L’aumento della pressione intramuscolare che si realizza durante una contrazione, provoca una progressiva riduzione dell’apporto di sangue limitando l’apporto energetico. Quanto appena detto risulta più evidente nel corso di una contrazione statica. Questo fenomeno contribuisce allo sviluppo della fatica.

Fatica periferica

La fatica periferica coinvolge sia proprietà elettriche sia meccaniche. Tra i fattori responsabili abbiamo:

  • riduzione della conduzione nervosa a livello della placca neuromuscolare;
  • blocchi della trasmissione neuromuscolare (pre e post-sinaptica);
  • rallentamenti della conduzione elettrica sarcolemmale;
  • modificazione dei meccanismi di accoppiamento elettromeccanico;
  • modificazione dei meccanismi contrattili.

Il ruolo fisiologico di tali processi è stato studiato tramite elettrostimolazione del nervo motore. Le frequenze utilizzate sono state di 50-100 Hz e 20 Hz.

Attualmente vengono identificati due tipi di fatica periferica: fatica metabolica e fatica non metabolica.

Fatica metabolica

La fatica metabolica è una fatica ad alta frequenza (50-100 Hz) che si sviluppa lentamente e recupera rapidamente. Questa fatica dipende dal depauperamento di substrati energetici connessi ai processi di fosforilazione muscolare.

Le variazioni metaboliche che coinvolgono la fosfocreatina, l’ATP, il fosfato inorganico e gli ioni H+ causano modificazioni a livello elettrico e meccanico. La riduzione del pH dovuto all’esercizio fisico porta all’incremento del fosfato inorganico. Lo ione monovalente del fosfato inorganico inibisce direttamente i meccanismi contrattili. La riduzione del pH determina modificazioni contrattili provocando un rallentamento nella fase di rilasciamento muscolare. Tale fenomeno giustifica la comparsa della contrattura muscolare.

Fatica non metabolica

La fatica non metabolica è una fatica a bassa frequenza (20 Hz) ottenuta da contrazioni submassimali intermittenti, dove la fatica compare bruscamente e la fase di recupero è prolungata nel tempo.

Questa fatica è osservabile nelle normali attività lavorative.

Le cause sono da ricercarsi nelle modificazioni dell’accoppiamento elettromeccanico. Lo studio con meccanomiogramma (MMG) mostra che l’ampiezza del potenziale d’azione non presenta significative variazioni, e lo studio con risonanza magnetica nucleare (RMN) mediante isotopo P31 mostra lievi variazioni di pH e fosfocreatina.

Questo esclude che meccanismi di fatica centrale, deficit di trasmissione neuromuscolare e alterazione dei meccanismi contrattili siano i responsabili. L’alterazione dei meccanismi di accoppiamento elettromeccanico sembrano essere la causa. Tale alterazione può essere causata da un’insufficiente quantità di calcio rilasciata dallo stimolo elettrico, oppure da un’alterata attivazione dei sarcotubuli.

Fatica centrale

Il fenomeno della fatica realizzata al livello prossimale rispetto alla giunzione neuromuscolare è definito fatica centrale. La fatica centrale si verifica a livello corticale o spinale e può essere dovuta sia ad una riduzione dello sforzo volontario, sia a cambiamenti dell’eccitabilità corticale o del motoneurone.

La definizione di fatica centrale si riferisce alla riduzione della forza correlata alla riduzione dell’impulso motorio per mantenere una piena attivazione muscolare. Nel 1992 la definizione è stata cambiata. Per fatica centrale si intende l’incapacità del soggetto di attivare volontariamente un muscolo a causa della riduzione del “drive” nervoso volontario.

Le cause della fatica centrale non sono ancora chiarite. Alcuni studi sostengono che la riduzione dell’output motorio sia un fenomeno puramente intracorticale. Altri studiosi pensano che la fatica centrale sia influenzata dall’affaticamento delle strutture periferiche che interferiscono sui comandi di partenza.

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